mercoledì 17 settembre 2014

Chiosa alle tre domande a Giacinto Di Pietrantonio

Gentile Giacinto Di Pietrantonio,
la ringrazio per la disponibilità e la sollecitudine con cui ha voluto inviarmi il suo contributo. Non le nascondo che ho provato un filo di amarezza leggendo la sua terza risposta, che in tutta sincerità mi aspettavo differente. Certo, il narcisismo di tanti immodesti è fastidioso. Ma non mi sembra che possa essere considerato uno dei maggiori problemi per i giovani artisti italiani. Al più è un problema che riguarda i superbi e gli incapaci. Con lo spunto scherzoso e "fiabesco" che le avevo sottoposto speravo di portarla su un terreno differente. Accetto il suo tagliare corto, mettendo in campo sacrosante evidenze. Immagino e comprendo anche le motivazioni per cui preferisce porre l'accento sul "fare", liquidando chiacchiere e arrovellamenti. La invito però a prendere in considerazione queste poche righe, tratte da uno scritto di Martina Testa (direttore editoriale di minimum fax) pubblicato nel 2013 su Artribune, per provare a guardare alla questione da un punto di vista diverso: "Un fenomeno che negli ultimi anni mi sembra evidente è quello del sostituirsi della forza della personalità alla forza della competenza. Un ventennio di berlusconismo, televisivo e non, ha eroso alla base l'idea che lo studio, l'acquisizione di sapere, il possesso di un bagaglio di tecniche specifiche e di strumenti critici siano necessari per farsi strada professionalmente. Il biglietto da visita è diventato quello del carattere: simpatia, spigliatezza, voglia di fare; sensibilità, originalità, passione; capacità di farsi notare. Questo tipo di mentalità anti-intellettuale, la mentalità per cui chi 'sa' è un pedante da sbeffeggiare, o un elitario da guardare con sospetto, ha trovato terreno fertile". Spero sia d'accordo con me nel riconoscere l'assoluta rilevanza dei fenomeni descritti. Pur senza generalizzare, trovo che nel nostro Paese tale tendenza a premiare la "personalità" sia dilagante anche nel "famoso e imponderabile sistema dell'arte". Per questo motivo avverto una sensazione di sconforto quando uno dei nostri più autorevoli critici non sa dare consiglio migliore ai giovani artisti che quello di "essere disposti a cambiare lavoro, stile, a trovare il modo giusto per dirlo, invece di credersi dei van Gogh". Né credo che la soluzione sia sminuire l'orizzonte italiano, perché "i riconoscimenti veri oggi si danno altrove". Mi rendo conto, con infinita e sincera modestia, nonché consapevolezza dei miei limiti, che lo scritto che generosamente ha voluto donarmi non sarà di certo stato in cima alle sue priorità e lo avrà partorito sottraendo tempo a ben più importanti e pressanti impegni. Non nutro dubbio, però, sulla natura spontanea e immediata delle risposte, che perciò considero rivelatrici di un pensiero sedimentato. Non ho quindi saputo resistere alla tentazione di esternarle il mio pensiero. Mi rendo conto di aver abusato della sua pazienza e le chiedo scusa se sono stato prolisso. Le garantisco inoltre, per quanto possa valere, che nutro per lei una profonda stima, al di là della parziale differenza di vedute.
Con sincera riconoscenza.
Vincenzo Merola

Caro Vincenzo,
questo è un vizio italiano: la colpa è sempre degli altri, soprattutto di Berlusconi. Io non ho mai amato Berlusconi, ma siccome ci sono delle nazioni che stanno peggio dell'Italia e che esprimono lavori forti questa mi sembra un'altra scusa all'italiana. Berlusconi avrà pure le sue colpe, ma quella maggiore è di chi non ha saputo, o voluto, creare alternative. Ecco cosa volevo dire con la storia di van Gogh e cioè smettiamola di piangerci addosso, o di dare la colpa agli altri e cerchiamo di vedere anche cosa è che in noi non va.
Ciao.
Giacinto Di Pietrantonio

Caro Giacinto,
in merito a questa sua affermazione, mi dichiaro perfettamente d'accordo. Tra l'altro non intendevo buttarla in politica: il berlusconismo evocato dalla Testa nel suo scritto è per me una questione marginale e sorpassata, tanto più che il malcostume di anteporre la personalità alla competenza si è insinuato anche nel modello renziano, che bada molto alle apparenze. Mi dispiacerebbe se le mie osservazioni fossero state percepite come un vano e ingiustificato atto d'accusa. Ho perfettamente inteso il senso della sua provocazione e l'invito a non "piangersi addosso". Nel mio piccolo, tutto il lavoro di scrittura e interlocuzione portato avanti sul blog è mirato a una profonda riflessione critica e autocritica, che dal mio punto di vista è costruttiva. Forse il mio principale difetto è quello di dire sempre, senza filtri, quello che penso apertamente, mosso da un'insaziabile sete di conoscenza e dalla volontà di confronto e approfondimento. Talvolta dimenticando qual è il mio posto. Avrei tanto desiderato che il nostro dialogo si spingesse al di fuori dei soliti schemi, ma probabilmente non ho saputo formulare bene le domande, dandole l'impressione di avere una visione trita e preconcetta del mondo dell'arte e spingendola così a rispondermi con un'altrettanto stereotipata rappresentazione caricaturale dell'artista frustrato in cerca di riconoscimenti. Faccio tesoro dunque del suo consiglio, lascio perdere le pagliuzze e mi concentro sulla trave nel mio occhio. Le sono riconoscente per questo ulteriore scambio, per la sua apertura e per il tempo che mi ha concesso.
Buona serata.
Vincenzo Merola

Caro Vincenzo,
ci tengo a precisare che non intendevo assolutamente dirigere a lei le mie risposte, ma era una riflessione generale sul mondo dell'arte. In tutto quello che faccio non ho niente di personale, sarebbe stupido anche se molto italiano. Tuttavia io non ho detto che non ci sono bravi artisti giovani in Italia, tant'è che do sempre molto spazio a loro, ma che bisogna che si diano più da fare per affermare il proprio lavoro, tenendo conto che il mondo oggi non inizia e finisce in Italia, come molti invece continuano a pensare.
Buona giornata.
Giacinto Di Pietrantonio


Ringrazio Giacinto Di Pietrantonio per avermi autorizzato a pubblicare questo interessante scambio di idee avvenuto tramite posta elettronica fra il 15 e il 16 settembre 2014.

lunedì 15 settembre 2014

Tre domande a Giacinto Di Pietrantonio

Quando si ha la possibilità di domandare, e a rispondere è una persona autorevole, la tentazione più grande è quella di cercare la verità. Tuttavia, ammettendo anche che chi chiede riesca a formulare correttamente i quesiti, è più facile credere a una bugia colossale che rincorrere quel fuggevole frammento di verità nascosto in ogni saggio discorso, evidente per un attimo soltanto e destinato poi a confondersi tra i dubbi prodotti dal tempo. Provi a raccontare la più grande bugia che ha mai ascoltato parlando d'arte e a suggerire la più illuminante intuizione di verità conquistata durante la sua carriera. Mescoli le carte, però: non dia indicazioni riguardo a ciò che considera giusto o sbagliato. Può darsi che per qualcuno possa valere il contrario!
Picasso diceva che l'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità e Nietzsche che non esistono fatti ma solo opinioni. D'altra parte, Duchamp, dicendo che un qualsiasi oggetto è o può essere un'opera d'arte, non si comporta molto diversamente e noi decidendo di entrare in questo territorio accettiamo queste regole del gioco, un gioco in cui verità e menzogna sono continuamente mescolate. L'ho già raccontato tante volte: era il 1980, studiavo per diventare uno storico dell'arte antica, per cui ho una formazione classica, ma un giorno il mio compagno di università Luigi Mastrangelo con cui a Bologna condividevo, insieme ad altri amici, l'appartamento, tornò a casa e disse che stava preparando una mostra insieme a Rinaldo Novali e Leonardo Santoli. Mi chiese se avevo voglia di scrivere qualcosa per un piccolo depliant. In tutta incoscienza accettai, ma non mi limitai a scrivere, incuriosito, andai ad aiutarli ad allestire la mostra. La cosa mi piacque così tanto che dissi: "Ma perché non ne facciamo un'altra?". Da lì a sette/otto mesi, 1981, allestii una mostra con loro tre più Thomas Rehbein, oggi gallerista, e Rosemarie Trockel, oggi star artista, che ero andato a scovare in autostop a Colonia. E da lì ancora un'altra, ancora un'altra...

Quali sono le tre cose che ha contemplato più a lungo nella sua vita? Di queste, quante erano opere d'arte?
A questa non so proprio rispondere. Non riesco a fare una graduatoria delle cose e delle persone. Questo è forse il mio limite contemporaneo.

C'era una volta, nell'Italia di adesso, un giovane artista talentuoso, ma non di successo... Come potrebbe continuare questa fiaba? Quali creature popolano l'artworld di questo Paese "incantato" (nel senso che è fermo, bloccato, ma pur sempre magico)? Fate o streghe? Orchi o folletti custodi di tesori?
Pur con tutti i problemi che ha il nostro Paese, uno dei maggiori per i giovani artisti è che pensano di essere dei geni incompresi e che il famoso e imponderabile sistema dell'arte ce l'abbia con loro. La questione è che l'Italia è invece una nazione in cui ci sono molte più opportunità di quanto si creda, ma non è sufficiente. Il mondo dell'arte si è molto ampliato e non basta affermarsi nel proprio Paese. I riconoscimenti veri oggi si danno altrove e quindi bisogna muoversi e questo significa anche essere disposti a cambiare lavoro, stile, a trovare il modo giusto per dirlo, invece di credersi dei van Gogh, che tra l'altro era olandese.


Giacinto Di Pietrantonio, nato a Lettomanoppello (PE) nel 1954, è direttore della GAMeC (Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo) e docente presso l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. È stato tra i fondatori, nel 2003, dell'AMACI (Associazione Musei d'Arte Contemporanea Italiani). Ha ricoperto il ruolo di vicedirettore per Flash Art Italia e collabora con numerose riviste tra cui Artribune e Domus. Ha curato mostre personali di Jan Fabre, come eventi collaterali della Biennale di Venezia, nelle edizioni del 2007, del 2009 e del 2011. Tre le molte e importanti mostre personali e collettive, si ricordano Over the Edges con Jan Hoet a Gent (Belgio) e Alighiero Boetti. Quasi tutto, alla GAMeC e alla Fondazione PROA di Buenos Aires. Ha redatto e curato monografie di Enzo Cucchi, Jan Fabre, Ettore Spalletti. È stato consulente artistico di MiArt per le edizioni 2008, 2009, 2010. È consulente del Premio Furla, membro del Comitato Scientifico del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e del CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) di Foligno.