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venerdì 11 gennaio 2013

Tre domande a Luc Fierens

Uno dei presupposti della Mail Art è l'assenza di finalità commerciali: una comunità di artisti, ai quali non interessa entrare a far parte di un sistema istituzionale, dà vita a una rete per lo scambio di esperimenti poetici, libera da ogni condizionamento economico. La riqualificazione dell'arte in tempi di crisi passa per la deprofessionalizzazione o per la regolamentazione del mercato?
L'esigenza di creare una comunità per la circolazione e lo scambio di Mail Art (è il caso ad esempio di Eternal Network, la rete ideata da Robert Filliou) nasce in parte dal rifiuto del sistema ufficiale dell'arte, inteso come una struttura gerarchica e piramidale fondata sulle accademie, le scuole d'arte, i musei, i premi e le competizioni. Penso che il sistema sia in parte cambiato anche grazie a esperimenti non ufficiali, nati dalla collaborazione tra spazi alternativi, artisti e poi anche curatori indipendenti. Per esempio, il modello di esibizione aperta progettato per alcune esposizioni di Mail Art (penso al pionieristico progetto Omaha Flow Systems, curato nel 1973 da Ken Friedman, in cui ogni visitatore poteva portare a casa un'opera di suo gradimento, a patto di sostituirla con un lavoro di sua creazione) ha cambiato l'intero spettro delle possibilità per esporre arte al di fuori del mercato. Non parlerei, a tal proposito, di un approccio amatoriale o di deprofessionalizzazione, ma della nascita di un sistema alternativo. Anche poeti visuali come Carrega, Sarenco e Miccini cooperarono alla fondazione di spazi alternativi (Mercato del Sale, Studio Brescia); Pignotti e altri parteciparono diverse volte ai festival Fluxus di Charlotte Moorman a New York. Questo tipo di rivitalizzazione dell'arte implicava un approccio professionale e così accade anche adesso. Tuttavia le regole di mercato non sono stabilite dagli artisti, ma dalla speculazione, che nel contesto contemporaneo ha raggiunto i suoi massimi livelli: è sufficiente considerare il modo in cui un collezionista indipendente come Saatchi ha potuto condizionare il mercato. Forse è tempo di interrogare ancora questo sistema, agendo al suo interno come dentro un "cavallo di Troia". Mi sembra opportuno citare, a proposito del complesso rapporto tra attivismo e sistema dell'arte durante la crisi, le parole pronunciate in occasione di un'intervista per SHAREpro da Stefano Taccone, curatore indipendente napoletano che ho conosciuto al Mivhs, a Casavatore: "Fino a che punto l'artista attivista deve sfruttare in maniera parassitaria il sistema e fino a che punto, vice versa, deve mantenersi lontano da esso? Adottando la prima opzione può beneficiare dei suoi apparati a mo' di cassa di risonanza, ma rischia anche di farsi addomesticare dal sistema stesso e di funzionare come un anticorpo utile a neutralizzare i linguaggi del dissenso. Adottando la seconda opzione evita di oliare gli ingranaggi della megamacchina, ma rischia di condannarsi all'oblio, alla sparizione. Michel Foucault considera la sparizione una forma di resistenza, il che può anche essere vero, ma rimane su di un piano solitario, solipsistico ed infine elitario. È una resistenza per pochi in quanto strutturalmente impossibilitata a fare proseliti. Le vertenze connesse alle questioni di categoria sono solo un aspetto del più ampio fenomeno dell'arte attivista e – d'altra parte – in quanto rivendicazioni condotte da artisti – o comunque da operatori culturali – rappresentano senz'altro qualcosa di afferente all'attivismo ma non necessariamente e non sempre all'arte. Forse dovremmo distinguere tra arte attivista ed attivismo d'artista".

In che modo l'interesse per l'attitudine D.I.Y. ("Do it yourself"), tipica degli anni Ottanta, condiziona la sua ricerca? Nel suo lavoro prevale la componente rétro-nostalgica oppure la volontà di dialogare con la realtà e di rapportarsi al presente?
Per me l'attitudine D.I.Y. significa preferire il contenuto piuttosto che la tecnica. In questo modo posso utilizzare ogni strumento disponibile per diffondere le mie idee e rendere possibile la comunicazione. Si viene a creare così una connessione immediata con la realtà, perché i miei collage non nascono su Photoshop o per mezzo di copia e incolla digitali, ma derivano da una ricerca concreta di fotografie reali e non ritoccate con strumenti informatici che, combinate tra loro, diano vita a una nuova immagine. Spesso confronto immagini provenienti da epoche diverse, dagli anni Settanta ad oggi, per evidenziare i punti di contatto tra passato e presente e per rendere possibile un dialogo in grado di interrogare la realtà. Probabilmente la tecnica più congeniale ai poeti visivi è proprio il collage, come sostiene Melania Gazzotti: "Tale mezzo espressivo non solo offre la possibilità di raccordo tra linguaggi e codici diversi, ma permette anche il recupero della manualità nella creazione. L'artista realizza, infatti, in prima persona, una serie di operazioni dal prelievo al montaggio, attivando anche l'aspetto ludico caratteristico di questa tecnica. Inoltre, la scelta del collage e di materiali e supporti non convenzionali accresce l'attenzione verso la plasticità della scrittura e la sua collocazione spaziale, esaltando la concretezza e la fisicità del linguaggio" (Rivoluzione in parole. Nascita e sviluppo della poesia visiva in Italia in La parola nell'arte, catalogo della mostra a cura di Gabriella Belli presso il MART di Trento e Rovereto, Milano, Skira, 2007). Il collage ha recentemente ritrovato energia, grazie al contributo di artisti del XXI secolo. Sono anche convinto che l'impatto della protesta del '68 sia stato in parte recuperato grazie alla recente grande ondata di contestazioni, che darà slancio a un nuovo ciclo di azioni e reazioni, evoluzioni e rivoluzioni. Mi interessa rendere visibile tutto ciò nei miei lavori, che sono anche collegati ai miei progetti realizzati tramite e-mail, social media e mostre in gallerie e spazi alternativi, insieme a molti artisti e attivisti che lavorano e hanno lavorato in passato con Eternal Network. Non potrei lavorare in maniera individuale nella mia torre d'avorio: sono parte di una "architettura sociale", per usare le parole di Sal Randolph. Si tratta di creare "situazioni". Ad esempio, come mail artist e poeta visuale ho deciso nel 2002 di lavorare all'interno di Free Manifesta, che era un modello di collaborazione (on-line, off-line e in situ a Francoforte) tra diverse reti alternative connesse a situazioni reali.

Quando l'arte si occupa della società, inevitabilmente agisce sui codici comunicativi e apre nuove prospettive per l'interazione tra gli individui, modificando il linguaggio corrente. Quali sono le più significative e innovative strategie per la trasmissione dei significati introdotte dalla pratica della poesia visiva, a partire dagli anni Sessanta?
La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa ha modificato profondamente il linguaggio, ampliando le sue potenzialità e incrementando la sua forza comunicativa attraverso l'associazione con l'immagine. I messaggi trasmessi dai mass media sono caratterizzati da una dimensione intersemiotica. Per come si è sviluppata a partire dagli anni Sessanta fino a oggi, la comunicazione di massa utilizza prevalentemente il canale visivo: passa attraverso gli occhi. Negli spazi pubblici come in quelli privati, si avverte una continua ricerca di attenzione, che punta all'occhio in ogni momento. La poesia visiva ha dimostrato la propria abilità nel saper creare un nuovo linguaggio poetico attraverso la combinazione di parola e immagine e ha così restituito la poesia, rendendola "visibile", alla società contemporanea. Gli esperimenti e i progetti di "poesia totale" di Adriano Spatola e di Sarenco hanno rappresentato vere e proprie forme di resistenza, fondate sulla ferrea volontà di partecipazione alle dinamiche sociali e sulla discussione aperta riguardo al significato dell'operare poetico. Considero inoltre la poesia visiva come estensione del principio del détournement (prima di Adbusters e dopo i situazionisti): rendere visibile il reale messaggio dei mass media. L'insieme di queste esperienze ha contribuito a generare uno spazio aperto di riflessione tra letteratura e arte, creando i presupposti per il proliferare di libri d'artista, zine, network di mail artist, installazioni (ancor prima della diffusione dell'arte concettuale), performance, intermedia (da Higgins in poi) e festival indipendenti. Intellettuali e artisti come Chiari, Moorman, Pignotti, Spatola e De Vree, ma anche riviste come Lotta Poetica e Doc(k)s, hanno influenzato le più recenti sperimentazioni nell'ambito della poesia elettronica (computer poetry, webpoetry, videopoetry). In definitiva, come scrive Valerio Deho: "Poesia concreta, poesia visiva, e in generale tutte le ricerche logo-iconiche, ma anche i vasti confini dell'Impero Fluxus, hanno riempito l'arte e la letteratura di parti comuni in nome di una libertà che è essenzialmente comunicazione con gli altri e partecipazione alla costruzione di significati che un'arte consapevole sempre richiede" (L'oggetto della poesia, ovvero la poesia dell'oggetto in Poesia oggetto, catalogo della mostra presso il Museo dell'Assurdo, Castelvetro di Modena, 2005).


Luc Fierens è collagista e poeta-provocatore visivo, è attivo in una rete di interrelazioni tra artisti nell'ambito della Poesia Visiva, dell'Arte Postale e di Fluxus. Le sue diverse espressività mettono l'accento su linguaggio e immagine come materia prima di esplorazione di forme alternative di comunicazione. In quest'ottica ha promosso un dialogo transnazionale, a partire dal 1984 e già prima della diffusione di Internet, mediante progetti di arte postale (Social-Art, Cornucopiae) e pubblicazioni (Postfluxpostbooklets). Attualmente la sua ricerca continua come "architettura sociale" con artisti con i quali scambia, trasmette e finalizza arte e progetti di collaborazione via posta ed e-mail e con i quali organizza incontri, performance, pubblicazioni e mostre. I suoi lavori e le pubblicazioni si trovano in archivi di grande interesse (Archivio Sackner - Miami, Artpool - Budapest), biblioteche (MoMA, Università di Buffalo), musei (MART - Trento e Rovereto) e diverse collezioni private (Fondazione Berardelli - Brescia).

Per approfondire: