Quanto a lungo è necessario osservare e studiare un'opera d'arte per comprenderne pienamente le molteplici sfumature di senso? La risposta è soggettiva e dipende da diversi fattori quali l'acume critico dello spettatore, la stratificazione e l'effettiva portata del significato dell'opera, il contesto di fruizione e il bagaglio di conoscenze pregresse. In ogni caso, esclusa l'ipotesi che ci si trovi di fronte a una crosta, quasi mai saranno sufficienti i pochi secondi di attenzione che il pubblico in media riserva al lavoro degli artisti. Come non è sufficiente una rapida lettura per apprezzare la buona poesia e non basta un primo ascolto distratto per cogliere la complessità armonica della musica sinfonica. La soglia temporale della concentrazione non è però l'unica variabile rilevante. Un analfabeta non riuscirà mai a godere della bellezza dei versi più sublimi: per chi non è in grado di leggere, trascorrere del tempo sui libri, osservando segni incomprensibili, sarà un'attività noiosa e improduttiva. Allo stesso modo, la contemplazione di un'opera d'arte può generare noia nel pubblico per almeno un paio di motivi: il fruitore preparato potrà annoiarsi osservando lavori deboli e derivativi, ma anche la mostra più interessante potrà annoiare un pubblico incompetente. Risulta evidente l'importanza dello studio, delle conoscenze storiche, della padronanza dei diversi codici della comunicazione e, in generale, della ricchezza del patrimonio culturale affinché le sfide poste all'intelletto dalla creazione artistica non risultino "noiose".
Nei tempi dell'organizzazione mecenatistica della committenza (quel modello che Sacco chiama "Cultura 1.0") esisteva una concezione aristocratica dell'arte che rimuoveva completamente il problema della "noia". Durante l'età di Augusto, ad esempio, Orazio e gli altri autori del circolo di Mecenate scrivevano per una cerchia ristretta di destinatari, tutti dotati di una vasta cultura letteraria, e non si curavano di raggiungere un pubblico più ampio ma impreparato. Tra il XIX e il XX secolo, la transizione dal modello pre-industriale di produzione culturale all'organizzazione basata sul mercato (l'industria culturale, che Sacco chiama "Cultura 2.0") porta con sé sicuramente istanze di democratizzazione, ma contemporaneamente pone l'artista di fronte alle esigenze di un pubblico non sempre competente: una platea che, quindi, rischia di "annoiarsi" non solo di fronte a opere di scarso valore, ma anche a contatto con lavori troppo complessi. L'artista professionista è condizionato dalle leggi dell'economia: il mercato stabilisce i prezzi in base al gradimento e ai gusti delle masse e si viene a creare la pericolosa equazione che connette valore e prezzo. Così, se il nemico da combattere è la noia, i più comuni stratagemmi per attirare l'attenzione e il favore del pubblico diventano la provocazione, il kitsch e lo shock.
Oggi sembra che una maggiore attenzione all'approfondimento e all'argomentazione, un atteggiamento di apertura al dibattito intorno alle modalità di elaborazione del sapere e una sana attitudine alla ricerca seria e disciplinata non siano più prerogativa dei produttori "professionali" di contenuti. Il ruolo sociale dell'artista viene messo in discussione dalle nuove tecnologie, dalla connettività e dalle infinite risorse del web. Il rischio più grande di questo inedito modello di produzione e distribuzione dei contenuti è quello di una fruizione superficiale causata dall'eccedenza di informazioni. Comunque l'esercizio costante e appassionato dell'ingegno è il migliore antidoto alla noia.
Nei tempi dell'organizzazione mecenatistica della committenza (quel modello che Sacco chiama "Cultura 1.0") esisteva una concezione aristocratica dell'arte che rimuoveva completamente il problema della "noia". Durante l'età di Augusto, ad esempio, Orazio e gli altri autori del circolo di Mecenate scrivevano per una cerchia ristretta di destinatari, tutti dotati di una vasta cultura letteraria, e non si curavano di raggiungere un pubblico più ampio ma impreparato. Tra il XIX e il XX secolo, la transizione dal modello pre-industriale di produzione culturale all'organizzazione basata sul mercato (l'industria culturale, che Sacco chiama "Cultura 2.0") porta con sé sicuramente istanze di democratizzazione, ma contemporaneamente pone l'artista di fronte alle esigenze di un pubblico non sempre competente: una platea che, quindi, rischia di "annoiarsi" non solo di fronte a opere di scarso valore, ma anche a contatto con lavori troppo complessi. L'artista professionista è condizionato dalle leggi dell'economia: il mercato stabilisce i prezzi in base al gradimento e ai gusti delle masse e si viene a creare la pericolosa equazione che connette valore e prezzo. Così, se il nemico da combattere è la noia, i più comuni stratagemmi per attirare l'attenzione e il favore del pubblico diventano la provocazione, il kitsch e lo shock.
Oggi sembra che una maggiore attenzione all'approfondimento e all'argomentazione, un atteggiamento di apertura al dibattito intorno alle modalità di elaborazione del sapere e una sana attitudine alla ricerca seria e disciplinata non siano più prerogativa dei produttori "professionali" di contenuti. Il ruolo sociale dell'artista viene messo in discussione dalle nuove tecnologie, dalla connettività e dalle infinite risorse del web. Il rischio più grande di questo inedito modello di produzione e distribuzione dei contenuti è quello di una fruizione superficiale causata dall'eccedenza di informazioni. Comunque l'esercizio costante e appassionato dell'ingegno è il migliore antidoto alla noia.
Complimenti per il suo lavoro, l'ho visto in mostra presso la galleria Officina Solare di Termoli. Le confesso che ciò che più mi ha colpito è stato il riferimento ritmico-letterario alle poesie e il bellissimo prologo in cui cita Bauman.
RispondiEliminaPossiamo dire che al posto dello shock e del kitsch esiste anche un addensante nobile capace di scuotere gli animi dal torpore, ossia il pensiero politico?
Grazie per i complimenti.
RispondiEliminaIl torpore è solo uno dei problemi della società contemporanea, anche se la sonnolenza diffusa nell'ambito culturale inizia a diventare insopportabile. La crisi economica ha accentuato un difetto ben più grave: la spinta individualistica, che già di per sé era fortemente connaturata nell'italiano medio, abituato a cavarsela anteponendo sempre le sue esigenze a quelle della comunità (l'evasione fiscale è l'esempio più chiaro di questo comportamento). Ha usato una parola che a mio parere descrive bene ciò di cui abbiamo più bisogno: "addensante". La politica, ma anche l'arte e la cultura, dovrebbero avere come primo obiettivo quello di ricostruire le sane relazioni del vivere civile, la disponibilità al confronto e al dialogo, lo spirito di solidarietà. Lo shock e il kitsch vanno nella direzione opposta: soddisfano egoisticamente gli istinti più goderecci. Riflettere sull'identità collettiva, come ho cercato di fare nella serie di collage esposti presso l'Officina Solare, può essere un modo per ricostruire i legami con il prossimo. Tuttavia, come sostengo nel mio post, le attività più nobili sono purtroppo spesso percepite come noiose...