Per quanto si possa guardare con interesse al trend filosofico "realista" e alla prospettiva di un "ritorno all'ontologia", non è possibile fare a meno di riconoscere che molti fenomeni legati alla ricezione di massa dei prodotti culturali siano fondati su una costruzione sociale più che su un criterio oggettivo di gusto. L'idea condivisa che un oggetto artistico sia un "capolavoro" passa necessariamente per dinamiche di mitizzazione che sono profondamente antirealiste. Non a caso gli anni Sessanta e Settanta (i decenni centrali della postmodernità) sono stati gli anni dei più pervasivi fenomeni di costume e hanno creato miti inossidabili (i Beatles o la Pop Art, per fare un paio di esempi). Oggi le dinamiche d'exploitation hanno accorciato sempre più i tempi di vita di "miti", "star" e "hit", diffondendo la percezione che non esistano più "capolavori", ma mode passeggere. In realtà la produzione culturale è diventata più ricca e più varia, con un'esplosione di contenuti collegata alla democratizzazione del sapere e all'accessibilità dei mezzi di produzione, anche a livello amatoriale. Sono cambiate profondamente le modalità di fruizione e troppo spesso, purtroppo, opere di grande valore restano voci nel deserto. Bisogna però ammettere che l'esistenza della "costruzione sociale/capolavoro" non è legata alla qualità dei prodotti artistici, ma al grado di condivisione sociale dei gusti. Le difficoltà che quest'epoca incontra nella produzione di capolavori sono probabilmente sintomi di una graduale emancipazione dalla massificazione culturale postmoderna. La costruzione di percorsi estetici individuali è forse il risultato dello spaesamento generato dalla ricchezza dell'offerta e dalla sovraproduzione, ma è pur sempre una forma di reazione all'impoverimento culturale. Per questo motivo, nella consapevolezza della perdurante irrilevanza dell'intrattenimento mainstream, la critica (in ogni settore) dovrebbe incentivare la creazione di percorsi paralleli e alternativi, più che cercare con ostinazione i "capolavori". Compito difficile, perché richiede la capacità di sapersi orientare nella ricchezza e nella varietà del complesso panorama contemporaneo, abbandonando le "classifiche". Compito nello stesso tempo ingrato, perché rende viaggiatori solitari, mentre gran parte del pubblico continua a subire passivamente il rating e si orienta verso i prodotti sul podio. Non si tratta, dunque, né di cavalcare le tendenze, né di crearne di nuove: solo di aprirsi alla complessità del reale.
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