Sembra quasi che Germano Celant, curatore della mostra Mimmo Rotella. Décollages e retro d'affiches presso Palazzo Reale a Milano, nel suo testo per il catalogo dell'esposizione Dal collage al décollage, suggerisca un'interpretazione della ricerca dell'artista calabrese come una sorta di percorso parallelo, ma in un certo senso speculare, rispetto a quello che ha condotto gli artisti d'avanguardia del Novecento all'invenzione del collage. I primi esperimenti di papier collé nell'ambito del Cubismo o del Futurismo, come anche le invenzioni linguistiche dadaiste e surrealiste, cercavano di costruire una totalità ideale attraverso l'accostamento di frammenti di realtà. Le composizioni di Picasso, Braque, Marinetti, Boccioni, Schwitters, Höch e tanti altri possono essere considerate agglomerati che totalizzano le loro componenti, per quanto esse siano disarticolate, al fine di rinviare a un concetto, a un ipotetico "altrove", a un "mondo possibile". Dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale e il drammatico trionfo della realtà sull'immaginazione, le avanguardie sono state irrimediabilmente sconfitte dalla storia, che ha annullato ogni slancio anticipatorio attraverso il sogno, la fantasia o la poesia. Lo stesso smarrimento che ha indotto Quasimodo a scrivere i versi di Alle fronde dei salici ha generato una profonda trasformazione nelle modalità espressive per cui l'arte è stata sospinta a connettersi direttamente con la vita, a rendersi conto della sua impotenza e a dichiararsi incapace di fornire risposte o di suggerire orizzonti divergenti dal mondo reale, che si è imposto con la forza travolgente delle immagini veicolate dai mezzi di comunicazione di massa. In questo contesto va collocata la scelta decostruttiva di Rotella, che ha trovato una strada personale, allontanandosi sia dall'ipotesi di ritorno alla rappresentazione figurale proposta dal realismo socialista, sia dall'identificazione con la concretezza gestuale ed emotiva dell'individuo suggerita dall'Action Painting americano e dall'astrazione informale europea. Nel termine décollage è evidente una forza polemica connessa con il potenziale negativo e distruttivo dello strappo, della lacerazione. Ma la tecnica di Rotella segue un'evoluzione formale che non porta alle estreme conseguenze la derealizzazione, riducendo in brandelli l'immagine mediatica già di per sé smaterializzata; invece si stacca gradualmente dalla rappresentazione per limitarsi alla presentazione, accettando i residui tagliati e prelevati dalla strada per quello che sono e immettendoli nel circuito dell'arte con un'operazione di stampo duchampiano. Alla fine degli anni Cinquanta, in molti suoi lavori, l'artista non si limitava ad appropriarsi di frammenti, ma utilizzava porzioni sempre più grandi di manifesti, fino a riportare sulla tela intere immagini in maniera neutra e impersonale: il suo fare arte diventava così registrazione del reale. La totalità iconografica strappata da Rotella alle manifestazioni mediatiche della vita potrebbe essere interpretata come il ribaltamento del tutto ideale rincorso dalle avanguardie del Novecento. Osservando le opere di Rotella dei primi anni Sessanta e confrontando i brandelli di ieri con i brandelli di oggi, viene da pensare che dovremmo imparare di nuovo a fare a pezzi, per poi ricostruire.
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