Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d'essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l'albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano.
Perché venire a Trude? Mi chiedevo. E già volevo ripartire.
– Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un'altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un'unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all'aeroporto.
(Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972)
La discussione sulle dinamiche tra centro e periferia non dovrebbe mai cedere alla tentazione della semplificazione, né ricorrere a due stereotipi banali e allo stesso modo ingannevoli: da un lato l'idea che le periferie siano irrimediabilmente destinate alla desertificazione, dall'altro la convinzione che i grandi centri non siano altro che assembramenti congestionati e alienanti. Le identità locali sono oggi così fragili che ogni territorio è diventato di confine. La provincia è periferia, ma non si sa di cosa. Tutto è periferia ininterrotta, dal paesino abitato da un migliaio di anime agli anonimi quartieri residenziali dei grandi centri. La democratizzazione della cultura è un processo che coinvolge allo stesso modo centro e periferia, perché democratizzazione non è sinonimo di appiattimento nel pensiero unico, ma di salvaguardia di una sana diversità. Le città continue di Calvino, invase dalla monotonia dell'uguale, sono rose dal tarlo della somiglianza, che non si limita a consumare posti e individui, ma scava in profondità, intaccando le radici dell'identità. Il valore euristico della cultura è fondato sul principio della diversità e sulla possibilità del confronto, entrambi irreperibili in una melma compatta di uniformante omogeneità.
Il confine non è localizzato geograficamente, lo portiamo dentro tra la folla e le solitudini ascetiche, nel più radicato immobilismo e nelle infinite migrazioni.
Perché venire a Trude? Mi chiedevo. E già volevo ripartire.
– Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un'altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un'unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all'aeroporto.
(Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972)
La discussione sulle dinamiche tra centro e periferia non dovrebbe mai cedere alla tentazione della semplificazione, né ricorrere a due stereotipi banali e allo stesso modo ingannevoli: da un lato l'idea che le periferie siano irrimediabilmente destinate alla desertificazione, dall'altro la convinzione che i grandi centri non siano altro che assembramenti congestionati e alienanti. Le identità locali sono oggi così fragili che ogni territorio è diventato di confine. La provincia è periferia, ma non si sa di cosa. Tutto è periferia ininterrotta, dal paesino abitato da un migliaio di anime agli anonimi quartieri residenziali dei grandi centri. La democratizzazione della cultura è un processo che coinvolge allo stesso modo centro e periferia, perché democratizzazione non è sinonimo di appiattimento nel pensiero unico, ma di salvaguardia di una sana diversità. Le città continue di Calvino, invase dalla monotonia dell'uguale, sono rose dal tarlo della somiglianza, che non si limita a consumare posti e individui, ma scava in profondità, intaccando le radici dell'identità. Il valore euristico della cultura è fondato sul principio della diversità e sulla possibilità del confronto, entrambi irreperibili in una melma compatta di uniformante omogeneità.
Il confine non è localizzato geograficamente, lo portiamo dentro tra la folla e le solitudini ascetiche, nel più radicato immobilismo e nelle infinite migrazioni.
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