L'ideale romantico dell'eccezionalità dell'artista, brutalmente contrapposta alla mediocrità dell'uomo comune, ha retto agli scossoni delle avanguardie del primo Novecento per poi soccombere di fronte al dilagare del boom economico. La Pop Art e Beyus hanno dato il colpo di grazia agli affascinanti estremismi dandistici e bohémien per stemperare la figura dell'artista, diluendola nelle più diversificate forme di creatività di massa. Livellando le differenze, si è giunti a un passo dal rendere indistinguibile la condizione in cui "ogni uomo è artista" dallo scenario nefasto e auspicabilmente remoto in cui "nessun uomo è artista". D'altro canto certe spettacolarizzazioni postmoderne hanno reso evidente che la strada dell'estremismo non può essere trasformata in un loop di tediose e asfissianti ripetizioni perché, una volta percorsa, conduce necessariamente all'autodistruzione o all'annullamento. Così l'artista contemporaneo deve tenersi, da buon funambolo, in equilibrio tra il quadrato nero di Malevič e l'action painting di Pollock, anima e corpo divisi nella lotta tra raziocinio e istinto. Insomma, una medietas tutt'altro che mediocre.
La mostra Explosion! Painting as action, conclusasi il 9 settembre al Moderna Museet di Stoccolma, per trasferirsi poi presso la Fondazione Joan Miró a Barcellona, a partire dal 24 ottobre, esplora un percorso interamente composto di estremismi, attraverso le opere di grandi personalità che hanno interpretato la pittura, e l'operare artistico in generale, principalmente come pura azione, istinto, sentimento. Il curatore Magnus af Petersens ha tessuto una sottile, a volte quasi impalpabile, rete di associazioni tra esperienze artistiche per molti versi inconciliabili, ma accomunate dall'evidenza lampante della componente performativa. L'indefinito territorio di confine tra l'azione e il risultato dell'azione stessa è perlustrato in lungo e in largo alla ricerca dei più significativi esempi di fusione tra pittura e performance, tra materia e concetto, tra gesto e idea, tra corpo e anima. Si passa dalle antropometrie di Yves Klein all'Art Make-Up di Bruce Nauman, dagli "shooting paintings" di Niki de Saint Phalle agli automi di Jean Tinguely, dai rituali degli azionisti viennesi al "pouring" di Lynda Benglis, per arrivare alle sperimentazioni radicali del gruppo giapponese Gutai che, nel metodo, hanno in qualche modo anticipato le formulazioni di certa arte concettuale e gli "instructional works" di alcuni artisti legati a Fluxus. Non è probabilmente un caso che il Moderna Museet abbia ospitato, nello stesso periodo di Explosion!, la mostra temporanea Grapefruit, dedicata alle poetiche "istruzioni" di Yoko Ono. La consapevolezza che il fruitore e il contesto possano interagire con l'opera fino a diventarne parte, ridimensionando il ruolo dell'artefice (Roland Barthes, in un suo famoso saggio del 1967, parlava di "morte dell'autore"), già presente in Duchamp e centrale nel lavoro di Cage, ha dato vita a una nebulosa di approcci sperimentali basati sulla "possibilità". Lavorare intenzionalmente con il concetto di eventualità, come elemento vitale nella produzione artistica, significa lasciare l'opera aperta all'influenza di fattori che vanno oltre il controllo dell'artista. Dipingere in questo modo significa trasformare la pittura da un fenomeno statico a una finestra aperta su un mondo nuovo, parte integrante dello spazio-tempo dell'osservatore.
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