Ancora qualche settimana per non perdere l'occasione di visitare, presso la Galleria nazionale d'arte moderna a Roma, l'ultima mostra di Gino Marotta, scomparso a distanza di poco più di un mese dall'inaugurazione. Relazioni pericolose, straordinario percorso a cura di Laura Cherubini e Angelandreina Rorro, è un vero e proprio esercizio linguistico fondato sul dialogo tra le opere dell'artista molisano e la collezione del museo. Il concetto di relazione è alla base dell'intero progetto espositivo, costruito insieme da Marotta, dalla moglie Isa e dalle curatrici. Queste ultime hanno voluto sottolineare il senso dell'operazione culturale rinunciando alla scrittura di testi critici e offrendo al pubblico la fedele trasposizione nel catalogo delle conversazioni intrattenute con l'artista e la sua compagna, senza ombra di dubbio più rappresentative dei criteri di confronto e scambio adottati nell'ideazione della mostra.
Contrario in maniera categorica alla realizzazione di un'antologica o di un evento celebrativo, che avrebbe considerato una caduta di stile e un segnale di manifesta presunzione, Marotta ha preferito rendere omaggio alle opere dei grandi da cui ha tratto ispirazione, tornando in uno dei principali luoghi della sua formazione con gli esperimenti ambientali che lo hanno reso famoso. I suoi fenicotteri-ostaggi celebrano il rito dell'arte che nutre se stessa: contemplano il paesaggio della pittura di spine di Penone mentre un quadro specchiante di Pistoletto riflette la scena, trasformando i metacrilati da spettatori in immagini-oggetto che raccontano e si raccontano. Le opere di Marotta, intellettuale consapevole dell'incompiutezza di ogni asserzione artistica e della necessità di mettere in discussione le norme dell'allestimento museale, pur nel rispetto e nel riconoscimento dell'istituzione, invadono anche gli spazi di passaggio o di sosta, quasi mai utilizzati a fini espositivi. L'installazione Foresta di menta, ad esempio, è collocata nello stretto corridoio oltre le porte del salone centrale, mentre il Giardino all'italiana trova posto nel cortile Aldrovandi. I suoi paradisi trasparenti e colorati conquistano discretamente le sale della Gnam, testimoniando la capacità di un artista ottimista (vissuto in un'epoca in cui era semplice essere ottimisti) di riscoprire nelle forme e nei mezzi della società industriale un angolo di Eden perduto. I suoi boschi di plastica, abitati dalle sagome colorate in maniera improbabile di animali esotici, rappresentano la trasfigurazione onirica della contaminazione tra artificiale e naturale in atto nel mondo contemporaneo.
Nelle ultime settimane a Campobasso, la città dove Marotta è nato e da cui è partito a tredici anni per diventare cittadino del mondo, intellettuali e politici hanno gareggiato cimentandosi in esercizi retorici per ricordare l'artista, con commozione più o meno autentica. Solo in pochi hanno avuto il coraggio di far notare lo stato di degrado e di abbandono in cui versa l'Albero dei sogni, la statua creata dall'artista per la città e collocata nella Villa dei Cannoni in tempi non troppo remoti, quando il Comune intendeva valorizzare la piazza alle spalle del Municipio trasformandola in luogo simbolo dell'arte contemporanea. Le condizioni dell'albero di Marotta sono un chiaro indicatore della qualità delle politiche culturali dell'attuale amministrazione cittadina: sembrerebbe addirittura, in base alle dichiarazioni di alcuni consiglieri comunali riportate dalla stampa locale, che il sindaco Di Bartolomeo avesse palesato l'intenzione di rimuovere l'opera dalla piazza, dopo averla definita un "simbolo di regime" (pare che il riferimento fosse alla passata amministrazione di centro-sinistra).
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