Le questioni relative alla crisi della rappresentazione e all'assottigliamento delle capacità comunicative del sistema letterario hanno attraversato il dibattito intellettuale negli ultimi (almeno) cinquant'anni. La teoria della morte dell'arte di Danto è in fondo solo un capitolo recente di una più ampia e sedimentata riflessione che coinvolge ogni forma espressiva, poesia inclusa. "Poetry is dead, long live poetry" scriveva il compianto Eugenio Miccini in un suo collage degli anni Ottanta. La poesia visiva, a partire dalle sperimentazioni del Gruppo 70, ha sempre tentato di fornire una risposta alle rinnovate esigenze linguistiche del mondo contemporaneo. Quali ritiene siano oggi le più forti istanze di cambiamento alle quali arte e cultura devono prestare ascolto per sopravvivere ed essere al passo con i tempi?
Coloro che teorizzano e parlano della morte dell'arte e della poesia testimoniano inequivocabilmente la loro impotenza, la loro incapacità a seguire i tempi.
È il dramma di svariati critici di professione che, magari sforzandosi e mettendocela tutta, si fanno delle idee in base a un codice modellato alla stregua di una camicia di forza, che non può comprendere quelle operazioni estetiche che per natura rifiutano la rigidità dei codici. È il caso ad esempio della poesia visiva a cui non si confanno codici strettamente letterari o specificamente artistici.
Il fatto è che la poesia visiva è nata operativamente e teoricamente con l'intento di usare più codici. E intanto quelli connessi alla parola e all'immagine, ma poi andando a esplorare i codici lasciati negligentemente da parte: quelli del gusto, del tatto, dell'olfatto. È così entrata in quella terra di nessuno che è governata dalla sinestesia. Riferimento e uso di più codici, quindi. Arte e cultura dovranno sempre di più tener conto e proseguire su tale strada per essere al passo con i tempi. Ma come ho detto tante altre volte in varie occasioni, magari fra curiosità e presunzione, più che la storia dell'arte io amo la storia dell'arte del futuro.
Marinetti, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912, cercando di tracciare il profilo delle sue "parole in libertà", si scagliava contro ogni specie di ordine ("Bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine") e contro la presenza dell'"io" in letteratura ("Sostituire la psicologia dell'uomo, ormai esaurita, con l'ossessione lirica della materia"). La poesia, in altre parole, non può nascere dalla poesia stessa, ma dall'incontro con la materia viva e vibrante. Molti suoi lavori nascono da "incontri" simili con la tradizione extra-poetica. La sua ricerca verbo-visuale coltiva una grande apertura nei confronti della dimensione più apertamente sociale: quali sono le "relazioni" che la ispirano maggiormente?
"Nutrirsi di poesia per fare poesia sarebbe come nutrirsi di grasso per ingrassare": lo ha detto perentoriamente Giacomo Leopardi. Ma vallo a dire in giro a certi poeti o a certi critici...
Bisogna bazzicare vari centri, periferie, luoghi abbandonati, magari sconsigliati o malfamati, bisogna rovistare fra i rifiuti, fra gli oggetti dismessi, bisogna andare alla ricerca di qualcosa per trovare qualcos'altro, bisogna fare incontri extra-poetici e extra-artistici. Già, le "Poesie e no", le poesie da masticare, il "Dolce stil novo", i "Drink poems"..., ma anche i libri-oggetto fatti ritagliando la plastica dei sacchetti della spesa con finalità implicitamente ecologica. Le relazioni che mi ispirano maggiormente, sia sul piano artistico che su quello sociale, sono le "liaisons dangereuses".
La predilezione per la dimensione intima del collage o del libro è probabilmente legata alla propensione per la complessità, che difficilmente trova compiuta espressione nei grandi formati. Anche sul versante performativo i suoi interventi hanno sempre conservato una raccolta compostezza (le poesie da masticare o da bere, ad esempio). Molta arte contemporanea sembra invece orientarsi verso la monumentalità e la spettacolarizzazione. Ritiene che la riscoperta del minuto (della botte piccola con il vino buono, per dirla con la saggezza popolare) sarebbe salutare per la giovane arte?
Qualche anno fa ho curato e realizzato a Roma una mostra invitando e coinvolgendo circa ottanta artisti, intitolata Mini>Maxi – Opere consapevolmente minime come alternativa ad un'arte aggressiva ed ingombrante. Il riferimento era il formato cartolina. Ho sempre avuto nutriti sospetti sul gigantismo e la monumentalità dell'arte.
L'idea, quando c'è, non ha bisogno di allargarsi nelle dimensioni.
Oggi su sollecitazione prevalentemente americana vogliono far credere che i grandi quadri li facciano i grandi artisti per essere accolti nei grandi musei. Al mercato dell'arte, o meglio: alla finanza dell'arte, conviene crederci. Alla "giovane arte", all'arte protesa al nuovo, a quella avventurosa insomma, conviene proseguire per altre strade.
Lamberto Pignotti è nato nel 1926 a Firenze. Vive a Roma. Ha insegnato all'Università di Firenze e al DAMS dell'Università di Bologna. Ha pubblicato libri di poesia, narrativa, saggistica, antologie, poesia visiva. Fondatore a Firenze, con altri poeti, artisti, musicisti e studiosi del Gruppo 70 nel 1963, successivamente ha partecipato alla fondazione del Gruppo 63. La sua scrittura verbovisiva attinge in maniera critica e dissacrante a vari codici iconografici dei media – pubblicità, moda, fumetti, francobolli, rebus... – e procede, anche mediante le sue performance, rapportando segni di diversa provenienza: verbali, visivi, del gusto, dell'olfatto, del tatto. Come poeta visivo e sperimentale è incluso in varie antologie italiane e straniere, fra cui Once again, di Jean-Francois Bory (New York, 1968), ed è trattato in libri di saggistica e consultazione. Ha collaborato assiduamente a giornali quotidiani, a programmi culturali della RAI, oltre che a varie riviste italiane e straniere. Nel 1965 ha pubblicato a Bologna per l'editore Sampietro la prima antologia italiana di Poesie visive (4 voll.) comprendente quindici autori. Ha partecipato a mostre collettive, fra cui: Tecnologica, Firenze, 1963; Annual avant garde Festival, New York, 1964 e successive edizioni; Biennale, Venezia, 1968 e varie edizioni; Italian Visual Poetry 1912-1972, New York, 1972; Contemporanea, Roma, 1973; Parola Immagine Oggetto, Tokyo, 1976; Visual Poetry. Arte Italiana, 1960-1982, Londra, 1983; Quadriennale, Roma, 1986; Poesia visiva. 5 Maestri, Verona, 1988; L'espace de l'écriture, Parigi, 1994; Dadaismo e dadaismi, Verona, 1997; Poesia totale 1887-1997, Mantova, 1998; Playgraphies, Parigi, 1999; Modern Art from Italy, Milwaukee, Wisconsin (USA), 2005; La parola nell'arte, MART, Rovereto, 2007; Italian Genius Now, Museo Pecci, Prato e varie sedi straniere, 2008; Futurismo 1909-2009, Palazzo Reale, Milano, 2009; Poesia visiva, MART, Rovereto, 2010; Ah, che rebus!, Roma, 2011. Una vasta monografia curata da Martina Corgnati per l'editore Parise di Verona nel 1996, contiene fra l'altro una bio-bibliografia generale e un'antologia critica con scritti di quarantotto autori fra cui Dorfles, Argan, Eco, Bonito Oliva, Quintavalle, Barilli. Recentemente sono apparsi altri tre estesi volumi monografici accompagnati da mostre personali: Gli Ori, Galleria Armanda Gori Arte, Prato, 2008; Fondazione Berardelli, Brescia, 2010 e CSAC, Università di Parma, Salone delle Scuderie in Pilotta, Skira, 2012. Nel 2011 è stato pubblicato un suo libro di poesie visive, Versi sinottici, Peccolo, Livorno, e un volume di saggi, Scrittura verbovisiva e sinestetica, con Stefania Stefanelli, che ripercorre teoricamente e criticamente il complesso rapporto che dall'inizio del Novecento e fino a oggi intercorre nelle arti fra parola, immagine e altri sensi.
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