Pensiero forte o pensiero debole? Dalla pubblicazione del "manifesto" del "New Realism" di Maurizio Ferraris, su La Repubblica dell'8 agosto 2011, il dibattito filosofico sul "Nuovo Realismo" continua a riempire le pagine di riviste specializzate e quotidiani. Protagonisti della discussione sono da un lato Gianni Vattimo, convinto sostenitore del primato delle interpretazioni sopra i fatti e del superamento del mito dell'oggettività nel mondo contemporaneo, dall'altro il suo allievo Maurizio Ferraris, che reagisce alla filosofia del postmodernismo e all'avvento dei populismi mediatici con la riabilitazione della nozione di verità. Tra i più recenti contributi spicca l'illuminante intervento di Umberto Eco: Ci sono delle cose che non si possono dire, apparso su Alfabeta2 e poi su La Repubblica dell'11 marzo 2012. Il suo "Realismo Negativo" sembra un compromesso equilibrato tra il rifiuto di un esasperato relativismo e il rischio di un ritorno radicale al "Vetero Realismo".
Scrive Eco: "Il vero problema di ogni argomentazione 'decostruttiva' del concetto classico di verità non è di dimostrare che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere fallace. Su questo pare che siano d'accordo tutti, ormai. Il mondo quale ce lo rappresentiamo è certamente un effetto d'interpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini viaggiassero anch'essi alla velocità della luce e forse domani dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta costante universale. Il problema è piuttosto quali siano le garanzie che ci autorizzano a tentare un nuovo paradigma che gli altri non debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione dell'impossibile. Quale è il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perché esistono pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra convinti di volare, e si spiaccicano al suolo – e badiamo, contro i propri propositi e speranze), e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? [...]
Quale regola nuova la Comunità deve preferire, e quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre ancora, coloro che vogliono dimostrare che la terra è quadra, o che viviamo non all'esterno bensì all'interno della sua crosta, o che le statue piangono, o che si possono flettere forchette per televisione, o che la scimmia discende dall'uomo – e a essere flessibilmente onesti e non dogmatici bisogna pure trovare un criterio pubblico onde giudicare se le loro idee siano in qualche modo accettabili.
Di lì l'idea di un Realismo Negativo che si potrebbe riassumere, sia parlando di testi che di aspetti del mondo, nella formula: ogni ipotesi interpretativa è sempre rivedibile (e come voleva Peirce sempre esposta al rischio del fallibilismo) ma, se non si può mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata. Ci sono interpretazioni che l'oggetto da interpretare non ammette. [...]
Certamente la nostra rappresentazione del mondo è prospettica, legata al modo in cui siamo biologicamente, etnicamente, psicologicamente e culturalmente radicati così da non ritenere mai che le nostre risposte, anche quando appaiono tutto sommato 'buone', debbano essere ritenute definitive. Ma questo frammentarsi delle interpretazioni possibili non vuole dire che anything goes.
In altre parole: esiste uno zoccolo duro dell'essere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano e non debbano essere prese per buone. [...]
Scrive Eco: "Il vero problema di ogni argomentazione 'decostruttiva' del concetto classico di verità non è di dimostrare che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere fallace. Su questo pare che siano d'accordo tutti, ormai. Il mondo quale ce lo rappresentiamo è certamente un effetto d'interpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini viaggiassero anch'essi alla velocità della luce e forse domani dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta costante universale. Il problema è piuttosto quali siano le garanzie che ci autorizzano a tentare un nuovo paradigma che gli altri non debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione dell'impossibile. Quale è il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perché esistono pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra convinti di volare, e si spiaccicano al suolo – e badiamo, contro i propri propositi e speranze), e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? [...]
Quale regola nuova la Comunità deve preferire, e quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre ancora, coloro che vogliono dimostrare che la terra è quadra, o che viviamo non all'esterno bensì all'interno della sua crosta, o che le statue piangono, o che si possono flettere forchette per televisione, o che la scimmia discende dall'uomo – e a essere flessibilmente onesti e non dogmatici bisogna pure trovare un criterio pubblico onde giudicare se le loro idee siano in qualche modo accettabili.
Di lì l'idea di un Realismo Negativo che si potrebbe riassumere, sia parlando di testi che di aspetti del mondo, nella formula: ogni ipotesi interpretativa è sempre rivedibile (e come voleva Peirce sempre esposta al rischio del fallibilismo) ma, se non si può mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata. Ci sono interpretazioni che l'oggetto da interpretare non ammette. [...]
Certamente la nostra rappresentazione del mondo è prospettica, legata al modo in cui siamo biologicamente, etnicamente, psicologicamente e culturalmente radicati così da non ritenere mai che le nostre risposte, anche quando appaiono tutto sommato 'buone', debbano essere ritenute definitive. Ma questo frammentarsi delle interpretazioni possibili non vuole dire che anything goes.
In altre parole: esiste uno zoccolo duro dell'essere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano e non debbano essere prese per buone. [...]
Ci sono delle cose che non si possono dire. Ci sono dei momenti in cui il mondo, di fronte alle nostre interpretazioni, ci dice NO. Questo NO è la cosa più vicina che si possa trovare, prima di ogni Filosofia Prima o Teologia, alla idea di Dio o di Legge. Certamente è un Dio che si presenta (se e quando si presenta) come pura Negatività, puro Limite, pura interdizione. [...]
La forma modesta del Realismo Negativo non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verità, ovvero sapere definitivamente what is the case, ma ci incoraggia a cercare ciò che in qualche modo sta davanti a noi; e la nostra consolazione di fronte a ciò che altrimenti ci parrebbe per sempre inafferrabile consiste nel fatto che noi possiamo sempre dire, anche ora, che alcune delle nostre idee sono sbagliate perché certamente ciò che avevamo asserito non era il caso".
La forma modesta del Realismo Negativo non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verità, ovvero sapere definitivamente what is the case, ma ci incoraggia a cercare ciò che in qualche modo sta davanti a noi; e la nostra consolazione di fronte a ciò che altrimenti ci parrebbe per sempre inafferrabile consiste nel fatto che noi possiamo sempre dire, anche ora, che alcune delle nostre idee sono sbagliate perché certamente ciò che avevamo asserito non era il caso".
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