mercoledì 6 novembre 2013

Tre domande a Francesco Arena

L'opera che ha concepito per il Padiglione Italia alla 55esima Biennale di Venezia, Massa sepolta (Burgos, Benedicta, Batajnica 02, Ivan Poljie), è una riflessione sui processi di spersonalizzazione, condotta a partire da uno dei simboli più fortemente evocativi della negazione dell'individuo: la fossa comune. Qual è il ruolo della memoria nel faticoso tentativo di arginare la dispersione dei riferimenti culturali attraverso il recupero della funzione identitaria dell'arte?
Ognuno di noi è fatto di memoria: siamo il risultato di uno stratificarsi di ere geologiche, di eventi minimi confluenti in rivoluzioni epocali. Il nostro sguardo è il frutto di distorsioni evolutive iniziate migliaia di generazioni fa. La memoria è la cultura, ogni nostro gesto è informato da essa; i riferimenti culturali non si perdono, cambiano, possono raffinarsi o imbarbarirsi. Evidentemente questo nostro tempo è un momento di imbarbarimento, ma è una fase obbligatoria e rientra nella ciclicità dei tempi che formano la storia.

All'interno dell'architettura di Vice versa, interamente costruita sui rispecchiamenti e sulle coppie oppositive, Pietromarchi ha scelto lei e Fabio Mauri per interpretare il tema della centralità della storia, vissuta attraverso il filtro del proprio corpo e delle esperienze personali. Nella performance di Fabio Mauri il gesto meccanicamente reiterato annulla l'individuo, riducendolo a manichino senz'anima, puro supporto per una divisa il cui portato ideologico è sovvertito dall'azione sconnessa di una nudità priva d'arbitrio. Nel suo lavoro, invece, la componente soggettiva è evocata in assenza dalla materia inerte, perché lo stesso corpo dell'artista diventa unità di misura per determinare la quantità di terra contenuta in ciascun pilastro che compone l'opera. Il suo è dunque un monumento alla tragedia, al ciclico ripetersi dell'orrore di masse trucidate e sepolte, oppure alla discontinuità introdotta dal procedimento artistico, espressione dell'ingegno individuale?
Masse Sepolte o Massa Sepolta è un tentativo di visualizzare formalmente degli accadimenti che apparentemente nulla hanno a che fare con la mia vita, ma mi riguardano in quanto riguardano l'umanità, il genere a cui appartengo. Naturalmente il mio confronto con queste vicende, essendo appunto il mio, passa attraverso quello che sono: non solo essere pensante, ma anche essere pesante. Percepiamo il mondo concettualmente, ma anche fisicamente. Il dolore, l'amore, la paura, la felicità sono i quattro poli verso cui la nostra esistenza si orienta: stati d'animo, ma anche stati fisici attraverso i quali guardiamo tutto quello che a noi è esterno. Per questo l'opera è un tentativo di risposta a domande complesse difficilmente formulabili per me verbalmente: la risposta stessa diventa un'altra domanda, anzi una valanga di domande, tante quanti gli sguardi di chi con l'opera si confronta. Sant'Agostino ha detto: "Io stesso sono diventato domanda". Il monumento è questo, un continuo domandare.

L'attenzione al dato di cronaca e lo studio accurato dei documenti sono costanti nel suo percorso artistico, che spesso unisce indagine storica e pensiero critico. Come riesce a evitare il rischio dell'appiattimento sulla citazione e sulla retorica del passato?
Il dato di cronaca è un'entità interessante perché, in quanto dato, dovrebbe essere inoppugnabile, però nella trasmissione della memoria o della cronaca solitamente è proprio il dato che si trasforma, cambia. Il dato è un punto fermo nella sua imprevedibilità, mutevole come il mio peso, a seconda se ingrasso o dimagrisco, o l'altezza di mia figlia, che ha tre anni e quindi cresce. La ciclicità di cui dicevo prima, il ripetersi degli eventi, è ciò che mi interessa, non quando è accaduto. La citazione va contestualizzata, rielaborata, altrimenti è un vuoto manierismo.


Francesco Arena nasce a Torre Santa Susanna (Brindisi) nel 1978, vive e lavora a Cassano delle Murge (Bari). La sua ricerca prende le mosse dagli episodi di carattere politico e sociale che hanno caratterizzato la cronaca italiana degli ultimi decenni, i cui fatti, troppo spesso taciuti o nascosti, vengono reinterpretati e indagati attraverso le forme sintetiche dell'approccio scultoreo. Ad Arena sono state dedicate diverse mostre personali come: Francesco Arena - The story behind, Nogueras Blanchard, Barcellona; Onze mille cent quatre-vingt sept jours, Frac Champagne-Ardenne, Reims; Trittico 57, Project Room, Museion, Bolzano; Orizzonte con riduzione di Mare, Monitor, Roma; Com'è piccola Milano, Peep Hole, Milano; Art Statement, Art Basel, con Galleria Monitor, Roma; Cratere, De Vleeshal, Middelburg; 3,24 mq, Nomas Foundation, Roma. L'artista ha inoltre partecipato a diverse collettive, tra cui: Throw a rock and see what happens, Casa Encendida, Madrid; La storia che non ho vissuto. Testimone indiretto, Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, Rivoli, Torino; The revolution must be made little by little | part 2: The Squaring of the Circle, Galeria Raquel Arnaud, San Paolo; Sotto la Strada la Spiaggia, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Il bel paese dell'arte, GAMEC, Bergamo; Pleure qui peu rit qui veut - Premio Furla 2011, Palazzo Pepoli, Bologna; Temporaneo - Contemporary art in the evolving city, organizzata da Nomas Foundation e IMF Foundation, Roma; SI, Sindrome Italiana, Magasin, Grenoble; La scultura italiana del XXI secolo, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano; Practicing Memory - In the time of an all-engaging present, Fondazione Pistoletto, Biella; Linguaggi e Sperimentazioni. Giovani artisti in una collezione contemporanea, Mart, Rovereto, Trento; Les sculptures meurent aussi, Kunsthalle Mulhouse, Mulhouse. Nel 2009 ha ottenuto il Premio Fondazione Ermanno Casoli, Fabriano, e il Premio LUM per l'Arte Contemporanea, I Edition, LUM, Libera Università Mediterranea, Bari, con una residenza presso Villa Arson, Nizza. Nel 2011 l'artista è stato selezionato tra i finalisti per il Premio Furla, Palazzo Pepoli, Bologna. Come vincitore del premio New York, infine, ha svolto una residenza in città della durata di quattro mesi (dicembre 2012 – marzo 2013).

domenica 3 novembre 2013

Una passione d'acciaio

Da circa tre decenni Sergio e Maria Longo, insieme ai due figli Andrea e Brunella e con la consulenza scientifica del professor Bruno Corà, collezionano opere d'arte contemporanea. Molti degli artisti presenti nella loro raccolta, una delle più importanti in Italia, hanno avuto modo di conoscere Sergio Longo presso il centro di servizio siderurgico da lui diretto: sono stati seguiti e aiutati nelle fasi di produzione e di lavorazione dei materiali per la realizzazione delle loro opere e così, in molti casi, è nato un rapporto di amicizia e si è creata la giusta intesa per una proficua collaborazione. Dimostrando una sensibilità da mecenate, l'imprenditore, coadiuvato dalla competente guida di Corà, ha commissionato nel tempo a personalità tra le più significative del panorama artistico contemporaneo opere in situ e installazioni per il giardino dell'abitazione di famiglia a Cassino. Il nucleo originario della collezione risale ai primi anni Novanta e comprende una decina di pezzi: tra le opere più significative l'imponente cubo in legno di larice di Sol LeWitt, la leggera poesia in granito dei Grigi che si alleggeriscono verso oltremare di Giovanni Anselmo, un marmo di Michelangelo Pistoletto (impassibile nella vertigine della caduta), la solida Postazione in brecciato di Mondragone di Antonio Gatto, la Grande stele di Vittorio Messina (che guarda verso il vicino colle dell'abbazia di Montecassino e nello stesso tempo evoca il passato bellico della città), le sculture in acciaio COR-TEN o ferro di Eliseo Mattiacci e di Renato Ranaldi. Ben presto, intorno all'attività dell'Associazione Longo, si è sviluppato un articolato programma di iniziative in collaborazione con gli istituti di alta cultura presenti nel territorio tra Cassino e Frosinone: l'Università degli Studi, l'Accademia di Belle Arti e il Conservatorio di Musica. Tale rete di relazioni ha consentito di avviare una serie di importanti avvenimenti espositivi, convegni di studio e momenti formativi che hanno visto l'entusiastica partecipazione degli studenti e di un pubblico motivato e interessato. La collezione Longo, in continua espansione, è diventata un polo attrattivo, funzionando da collante in una realtà culturale che ha gradualmente interessato un bacino di utenti sempre più vasto, superando i confini del territorio cassinate, grazie anche alla strategica posizione a metà strada tra Roma e Napoli.
In questi ultimi mesi il progetto più ambizioso e a lungo perseguito dalla famiglia Longo è finalmente diventato realtà: la costituzione di un museo di arte contemporanea a Cassino. L'inaugurazione del CAMUSAC, lo scorso 12 ottobre, è una tappa fondamentale in un lungo percorso sostenuto da una grande passione e dalla volontà di mettere a disposizione di chiunque condivida l'amore per l'arte un luogo fisico in cui poter liberamente ammirare le opere raccolte negli anni. Gli spazi del museo, frutto della riconversione di ex-ambienti industriali, sono stati resi perfettamente confacenti alla nuova destinazione d'uso dall'architetto Giacomo Bianchi. La mostra Infinito riflesso. Enrico Castellani - Shigeru Saito, a cura di Bruno Corà, è l'evento che inaugura la nascita del CAMUSAC - Cassino Museo Arte Contemporanea: il giovane scultore giapponese Shigeru Saito, in Italia da qualche anno e grande ammiratore del lavoro di Castellani, propone una selezione di suoi lavori recenti ispirati ad altrettante opere storiche del Maestro. Le realizzazioni in metallo dell'artista nipponico rappresentano l'esito di uno studio attento dei volumi di alcuni capolavori del grande pittore italiano: ad esempio, nella scultura Composito, pesanti lamiere d'acciaio sono piegate e incastrate tra loro come i fogli dello Spartito di Castellani, geniale struttura in carta che deve la sua forma perfetta all'intreccio dei fogli. La principale attrattiva del CAMUSAC rimane però la sorprendente collezione Longo: una parte consistente delle oltre duecento opere che la compongono è presentata al pubblico attraverso una prima, rappresentativa selezione operata dal professor Corà. Nelle sale del nuovo museo è possibile ammirare, ad esempio, le torri in acciaio verniciato di Sol LeWitt, gli aerei di Alighiero Boetti, un meraviglioso assemblaggio di Jannis Kounellis, una tela con neon di Mario Merz, una corteccia di cuoio di Giuseppe Penone, l'emozionante scultura antropomorfa in acciaio di Antony Gormley Capacitor, un grande acquerello di Luigi Ontani, nonché una serie di opere riconducibili alla Nuova Scuola Romana nata nell'ex-pastificio Cerere: due belle composizioni di Nunzio e una tela di Piero Pizzi Cannella negli spazi interni; fuori, nel piazzale adiacente, quattro geometrie in acciaio COR-TEN di Marco Tirelli e l'imponente processione circolare immobile di Giuseppe Gallo, dal titolo Punto fermo. Il vicino giardino privato dell'abitazione dei Longo, che può essere visitato su richiesta, si è inoltre arricchito di nuove acquisizioni, in aggiunta al primo nucleo della raccolta: tra tutte spicca l'intervento di Beverly Pepper, che ha disegnato con la pietra serena il suo Onphalon direttamente sul prato, ma colpiscono anche le sculture di Pedro Cabrita Reis, Diego Esposito, Hossein Golba e Mimmo Paladino.
Mentre oggi in Italia è impossibile non constatare, con enorme rammarico e con la speranza che presto la situazione possa cambiare, come lo Stato e le amministrazioni pubbliche sembrino non avere la forza e le risorse per garantire un'offerta culturale adeguata, non si può che accogliere con favore una simile, lungimirante, iniziativa, con la consapevolezza però che l'intervento dei privati, per quanto lodevole, non potrà mai supplire alla carenza di un progetto organico, complessivo e strutturato per le politiche culturali nel nostro Paese. Intanto questo piccolo ma straordinario museo assume le sembianze di un'isola felice in una terra desolata.