martedì 30 giugno 2015

La svalutazione dello spazio e l'identità pendolare

Non è difficile comprendere i motivi per cui, ancora oggi, nell'epoca della glocalizzazione, continui a essere profondamente radicata la convinzione che solo nei grandi centri sia possibile il confronto tra gli artisti, lo sviluppo di una ricerca consapevole e una piena maturazione dal punto di vista intellettuale. Per gran parte della storia dell'uomo il paradigma della "capitale culturale", come laboratorio di idee e culla della creatività, ha conservato la sua validità, rappresentando l'unica realtà possibile: l'Atene di Pericle, la Roma imperiale, la Firenze dei Medici e del Rinascimento, la Parigi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento sono solo alcuni tra gli esempi più noti. Qualcosa sta cambiando negli ultimi decenni: il rischio dell'omologazione indirizza gli osservatori più attenti e curiosi verso approcci laterali e periferici. Eppure la necessità romantica di una "fuga da Recanati" continua a tormentare generazioni di creativi di provincia, per i quali è preferibile addossare la responsabilità dell'insuccesso al luogo in cui vivono, rimandando un'attenta verifica delle proprie capacità e competenze ad altri tempi (e altri luoghi). Così, in questo strano periodo di transizione, non ci si può stupire più di tanto se, leggendo un numero di Flash Art (n. 315, Marzo-Aprile, anno 48-2014) con la copertina dedicata a Ettore Spalletti (che è nato e vive a Cappelle sul Tavo, in provincia di Pescara) ci si imbatte in queste paradossali parole del direttore Giancarlo Politi, che risponde a un lettore preoccupato per il suo futuro di artista residente in Sicilia: "La provincia può esprimere artisti abili e anche dotati: ma perché questi possano confrontarsi con gli altri, occorre che vivano e operino nei grandi centri. Indicami tu un artista significativo che è nato e vissuto nella provincia".
Un tempo le dimensioni spaziali della vita sociale erano determinate per lo più da attività localizzate, geograficamente situate; invece con l'avvento della modernità i rapporti tra persone distanti diventano sempre più diffusi. L'interazione tra assenti avviene con maggiore semplicità e la comunicazione si slaccia definitivamente dalla necessità del confronto faccia a faccia. In una simile condizione l'idea di luogo è condizionata e modellata da influenze sociali lontane e la località si definisce attraverso relazioni complesse che possono avvenire a distanza. La tendenza al distaccamento spazio-temporale va accentuandosi con il maturare della modernità fino a giungere, in tempi più recenti, a rasentare forme di annullamento e di completa irrilevanza. Le attuali potenzialità dei mezzi di comunicazione e l'agilità dei trasporti introducono il concetto di istantaneità, la conseguente perdita di valore del tempo e l'inevitabile svalutazione dello spazio. Bauman definisce l'istantaneità come assenza di tempo in quanto fattore di un evento, dunque in quanto elemento nel calcolo del valore. Nel momento in cui tutte le località sono raggiungibili in tempi relativamente brevi e ogni tipo di informazione può essere trasmessa rapidamente da una parte all'altra del globo, nel momento in cui la differenza tra vicino e lontano è cancellata, nessuna parte di spazio è privilegiata: il risultato è l'equiparazione del valore spaziale. Poiché tale livellamento avviene verso il basso, si può parlare a ragione di svalutazione dello spazio.
Viviamo in un'era di mutamenti di scala: i mezzi di trasporto rapido e di comunicazione di massa hanno ridotto le distanze e hanno reso accessibili gli angoli più remoti del mondo. Il territorio ha subito modificazioni fisiche considerevoli, è attraversato da flussi di popolazione incessantemente in movimento e nello stesso tempo è costellato da dense concentrazioni urbane. La nozione sociologica classica di luogo è definitivamente in crisi e sembra giunto il momento di imparare a pensare lo spazio in maniera differente. Ai mutamenti di scala corrispondono mutamenti di parametri necessari per intraprendere lo studio di civiltà e culture nuove. Le interconnessioni tra locale e globale sono all'origine di un radicale cambiamento di prospettiva e di uno scombussolamento degli equilibri nel sistema mondo. Nella dimensione globale la percezione delle categorie di spazio e tempo da parte dei soggetti sociali orienta verso l'annullamento di ogni coordinata futura o passata: lo sguardo è perennemente rivolto al presente. In questo modo da un lato vengono penalizzate la tradizione e la costruzione di una narrazione storica coerente, dall'altro viene frustrata ogni aspettativa, le prospettive si riducono e ci si proietta in avanti con difficoltà. L'assenza di valori e di norme di comportamento conduce l'individuo alla crisi esistenziale, generando un crescente desiderio di identità e di appartenenza. Privato delle ataviche pratiche rituali e simboliche attraverso cui tale bisogno veniva naturalmente soddisfatto, l'uomo contemporaneo deve inventarsi una tradizione e inserirsi in una comunità immaginata, pur di salvaguardare la propria personalità e sfuggire almeno in parte alla trappola dell'omologazione. Il presente appartiene a tutti, è il tempo uniforme della società globale che per un verso libera, rompe le barriere e spezza i confini, ma contemporaneamente imprigiona, privando le persone della propria individualità. Così tramite l'invenzione della tradizione si tenta di riaffermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato, anche se questa continuità è in larga misura fittizia. Il passaggio dalla modernità alla successiva fase della sua radicalizzazione, o della surmodernità, segna uno slittamento dell'identità etnica che da fissa diventa fluttuante, contestuale e situazionale. Partendo quindi dalla considerazione che l'identità stessa deve fare a meno del localismo, già nel 1994 Vanessa Maher, in Questioni di etnicità, parlava di "identità pendolare". Nel mondo globale l'identità etnica non può più essere considerata un punto di partenza, ma il prodotto di una serie di scelte che portano l'individuo ad assumere identità provvisorie, costruite in relazione a luoghi, fattori e interlocutori momentanei. L'identità etnica illustrata dalla Maher è divisa, sfaccettata e potrebbe essere descritta come la risultante della somma delle diverse identità che il soggetto assume nel corso della propria esperienza di vita, identificandosi di volta in volta, a seconda dei contesti e delle circostanze, con varie appartenenze. La deterritorializzazione ha indubbiamente svincolato, almeno in parte, l'identità da un luogo e da un tempo prestabiliti; tuttavia l'attore sociale, nei suoi tentativi di riconoscimento simbolico, resta pur sempre legato a una qualche dimensione ambientale. In definitiva si potrebbe guardare all'identità etnica come a una risposta locale alle sollecitazioni di un processo globale; si tratta di individuare la relazione che si instaura tra i particolarismi e la totalità, per capire in che modo questo rapporto influenzi la costruzione della soggettività e le rappresentazioni collettive.