lunedì 15 aprile 2013

Tre domande ad Angelo Ricciardi

La sua ricerca sulle connessioni tra espressioni verbali e immagini visive, come anche la riflessione sui processi di produzione di senso attraverso la comunicazione, nasce dall'esigenza di riconquistare una distanza critica dall'utilizzo prettamente utilitaristico del linguaggio, al quale l'universo mediatico ci ha abituati. Ritiene sia necessaria una nuova "alfabetizzazione" per sfuggire alla vacuità e alle convenzioni depersonalizzanti del nostro tempo?
La ricerca di connessioni tra parole ed immagini ha spesso intenti molto meno nobili di quelli che mi attribuisci. Le immagini arrivano quando le parole non bastano, le parole quando le immagini più non mostrano.
In ogni caso, se per nuova alfabetizzazione intendiamo un nuovo possibile inizio, direi di sì. Direi che un tentativo, che onestamente credo destinato al fallimento, vada comunque fatto: siamo sempre nel campo del fare, sperimentare diventa quasi destino.
Impoverimento del linguaggio, ruolo ipertrofico delle immagini, eccesso di informazioni disponibili, virtualità dei rapporti interpersonali, rappresentano ostacoli probabilmente insormontabili. Quel che forse si può provare a fare è ri-cominciare a dir-si e ad annusarsi. Se non riscrivere quanto meno ri-riconoscere le regole. Ri-stabilire minimo comune multiplo e massimo comun divisore.
(le) parole del Novecento – una riflessione in forma di alfabeto sul secolo appena trascorso nata come intervento grafico per L'origine è la meta (Firenze, Morgana Edizioni, 2006), diventato libro d'artista prima (2007) e successivamente presentato in forma di video (Correnti nomadi, rassegna di videopoesia, 2010) – ben rappresenta il movimento, uno dei possibili movimenti, in questa direzione. Un invito, come ha ben evidenziato Anaël Desablin (Jeux de mots, Jeux d'images = Spelen met woord en beeld, Bruxelles, Galerie 100 Titres, 2008), a re-imparare a vedere e a leggere.

Nel gennaio del 2012 ha donato una serie di undici libri d'artista all'Archivio del Novecento del MART di Trento e Rovereto. I suoi volumi nascono dalla necessità di condividere mondi interiori attraverso il racconto personale, oppure hanno la funzione di archiviare e tentare una sistemazione del "sapere", incarnando nella loro essenza, come ha scritto Maria Teresa Annarumma, "il decifrabile ed il conoscibile"?
Sia il bisogno di raccontare, di provare a dire, che il lavoro di archiviazione, inteso come lavoro quotidiano non immediatamente finalizzato alla produzione, sono due aspetti sicuramente presenti nel mio lavoro.
Ogni libro è, però, una storia a sé. Ed il lavoro, molto semplicemente, quasi banalmente, trova origine, di volta in volta, in situazioni contingenti, in incontri casuali, in avvenimenti più o meno attesi, in bip raccolti nell'aria. Non c'è mai un intento teorico predefinito. È che a volte elementi fino ad allora sparsi, dispersi, "chiedono" di stare insieme. "Vogliono" provare – incontrandosi – a farsi discorso. Il mio, in ultima analisi, non è che un lavorare per associazioni.
Due esempi recenti: The Provisional Government (2012) è il risultato dell'incontro di un calendario ricevuto in dono dalla Volkswagen e di ritagli di giornale fotocopiati; cartes postales (2012-2013) di un intervento, in forma di collage di e su lavori altrui – una sorta di détournement du détournement –, sul catalogo della mostra alla Galerie 100 Titres di Bruxelles del 2011.

Molti dei suoi progetti sono realizzati in collaborazione con altri artisti. Per quali ragioni ritiene stimolante la prospettiva della condivisione e della cooperazione nel processo creativo?
Certo molto viene da una storia personale – ormai chiusa, digerita con difficoltà, elaborata con dolore, ma chiusa – in cui parole come collettivo, gruppo, privato che si fa pubblico, noi, erano pratica quotidiana condivisa. Esperienze alle quali aggiungerei, in tempi più recenti, quella di e con Progetto Oreste, alla cui base, nel 1999, ho ritrovato un bisogno, primario, di confronto, di scambio, di relazione.
Diciamo che attualmente si tratta di una necessità, di una strada obbligata che nasce dal pensare che, probabilmente, di fronte all'oggi, alla complessità e alla velocità dell'oggi, non sono più proponibili – tutte già percorse? tutte già sperimentate? – soluzioni individuali. La ricerca di collaborazione è ricerca di altre prospettive. Un provare ad allargare il cerchio. Un mettersi ad ascoltare. Lasciare la porta aperta.
La mostra, appena conclusa, e se davvero il tuo silenzio musica non fosse, John? (2013) disegna, in ordine di tempo, l'ultimo tentativo in questa direzione. Un dialogo – attraverso ed al di là dei lavori esposti – con alcuni docenti, tra tutti Franco Cipriano, e studenti del Liceo Artistico Giorgio De Chirico di Torre Annunziata. Un provare a fare e proporre fuori dal centro.


Angelo Ricciardi è nato a Napoli, dove vive e lavora. La sua ricerca si basa sul rapporto tra scrittura e figurazione nella società contemporanea, con particolare interesse per gli scambi tra comunicazione verbale e comunicazione visuale. Tra i suoi progetti, spesso realizzati in collaborazione con altri artisti e svoltisi contemporaneamente in varie città del mondo, vi sono Leafletting (2002), The New Little Red Book (2003), Art Line Do Not Cross (2004), Happy Birthday, Mister Johns! (2005), Desktops (2006), Achtung Bitte Kunst Kann Eine Falle Sein (2009). È autore di numerosi libri d'artista, molti dei quali presenti in importanti spazi e collezioni pubbliche e private (MoMA Library, Printed Matter, Collezione Liliana Dematteis, Archivio del '900 del MART di Trento e Rovereto, MU.SP.A.C., Collezione Alessandro Gori, CLA Centre de Livres d'Artistes Bruxelles). È co-fondatore di CODICE EAN, laboratorio indipendente intorno al contemporaneo. Ha preso parte a Progetto Oreste. Ha collaborato con Kainòs, rivista telematica di critica filosofica, al progetto editoriale Le Parole del Novecento. Ha pubblicato nel 2011 per Martano Editore, Torino, il libro 1999-2010, sorta di racconto, per immagini e parole, della propria attività artistica.

Per approfondire:

1 commento:

  1. L'esigenza di integrare produzione artistica e pratiche politiche mi pare un elemento costante di questo blog. Approvo con convinzione. Forse si tratta di recuperare il testimone delle avanguardie novecentesche, così cariche di attese e di conflittualità, senza ovviamente ricalcarne le stesse forme. Ma la forza con cui hanno saputo porre la questione decisiva di una radicale politicizzazione dell'arte... questa sì andrebbe riaffermata con la stessa intensità.

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