sabato 5 gennaio 2013

Shay Frisch: la trappola del metodo

L'artista non vuole più confondere arte e vita, risolvere le antinomie della storia, ma operare uno sprofondamento, un salto in avanti nella ricerca. Alla parzialità quotidiana l'artista oppone la totalità relativa dell'opera, che ha dismesso tutte le allusioni mimetiche alla teatralità della vita e ha invece conquistato una sua splendente superficie.
(Achille Bonito Oliva, Campo: moduli spirituali dell'arte in Shay Frisch. Campo 100535 B/N, catalogo della mostra, Galleria nazionale d'arte moderna, Roma, Gli Ori, 2012)

Maria Vittoria Marini Clarelli colloca l'arte di Shay Frisch in quella "zona fredda" in cui si raccolgono le poetiche che sembrano prescindere dalla soggettività e dall'emotività: il costruttivismo, il minimalismo, l'arte programmata e optical, ad esempio. I campi elettromagnetici dell'artista israeliano, composti da sequenze di prese industriali assemblate in modo da formare ampie installazioni, possono essere interpretati come variazioni sul tema della superficie, nella scia della tradizione del Novecento italiano. Il lavoro di Frisch, come quello di Fontana, Scheggi, Castellani e Bonalumi, è fondato sulla disciplina del gesto ripetuto, in cui si materializza l'idea, che sconfina appena dal piano bidimensionale, senza infrangere mai la barriera che separa opera e mondo. In tanti hanno provato (e provano tuttora) a superare questo limite invalicabile, rincorrendo la pericolosa ambizione dell'opera d'arte totale oppure confondendo ingenuamente arte e vita. Da Duchamp a Fluxus, intellettuali e artisti mossi dalle migliori intenzioni hanno tentato di innestare il processo creativo nel quotidiano, raccogliendo la sfida di un'arte fatta d'ordinarietà, che però ha condannato a morte se stessa. Il nobile fine perseguito era troppo ambizioso: modificare un mondo imperfetto con gli strumenti visionari del creativo, senza possedere l'abile diplomazia e la concretezza del politico.
L'approccio analitico e controllato di Frisch è invece consapevole dei limiti e delle potenzialità del messaggio artistico: richiede rigore, pazienza e metodo. Ponendo un freno all'urgenza di far pressione sulla vita e rinunciando alla pretesa di generare effetti dirompenti, si accontenta di produrre una disciplinata interferenza, un'intrusione a distanza, una sovrapposizione che fa leva sul linguaggio, accettando le regole della comunicazione artistica. Alla scompostezza ingerente e sgraziata dello shock preferisce il riserbo cromatico del bianco e nero e il silenzio autorevole dei moduli che nascondono sottotraccia il flusso energetico, per poi svelarlo nella serialità infinita di sorprese luminose. La geometria insegna a interpretare lo spazio come insieme di regole da rispettare. La libertà può esistere a condizione di essere subordinata alle norme del vivere civile: un mondo nuovo andrebbe progettato nel rispetto delle leggi preposte alla tutela del bene collettivo. Allo stesso modo, le più innovative forme d'arte non dovrebbero avvertire le peculiarità del linguaggio come vincoli o inibizioni: il segno, le forme, i colori, i suoni, i materiali, le lettere e le parole sono in fondo elementi modulari che, combinati insieme in infinite variazioni, hanno da sempre dato vita a universi irripetibili e interminabilmente modificabili. D'altronde, se le regole non esistessero, non sarebbe possibile infrangerle per crearne di nuove: così una presa elettrica può diventare pigmento se qualcuno interpreta in maniera (semi)arbitraria la funzione per cui è stata progettata e prodotta. Eppure gli assemblaggi di Frisch si fondano su un uso tautologico che non annulla l'identità funzionale degli oggetti, ma sembra paradossalmente amplificarla. La spina non è decontestualizzata come objet trouvé, ma semplicemente e banalmente utilizzata per condurre corrente e generare luce. Sarebbe tuttavia riduttivo liquidare la logica combinatoria delle strutture di Frisch etichettandola come sterile e compito esercizio: i suoi lampi luminosi su fondo nero, quando si ripiegano su se stessi in un cilindro che avvolge lo spettatore (come accade nella bella mostra a cura di Achille Bonito Oliva, presso la Galleria nazionale d'arte moderna fino al 27 gennaio), stordiscono quanto le più ardite provocazioni e le più coinvolgenti e conturbanti performance. Si può discutere poi sulle effettive ricadute sociali di opere che, ai più convinti sostenitori del connubio fra arte e politica, appariranno ingessate. In effetti, il rischio latente in ogni metodo, anche in quello che sembra funzionare come un meccanismo perfetto, è che possa trasformarsi in una trappola.

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